La Corte Suprema di Cassazione, con ordinanza 24766 del 2017, in tema di licenziamento inefficace perché avvenuto durante il periodo di malattia con (eventuale) superamento del periodo di comporto, ha rimesso la questione al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite a seguito di contrasto giurisprudenziale sull’argomento.
Ma vediamo nel dettaglio di cosa si tratta con l’articolo pubblicato oggi (2.11.2017) dal Sole 24 Ore (Firma: Daniele Colombo; Titolo: “Licenziamento in malattia, giudici divisi sull’inefficacia”) che di seguito riportiamo.
Il licenziamento intimato al lavoratore durante il periodo di malattia, anche per cause diverse dal superamento del periodo di comporto, è inefficace o è affetto da nullità? È il quesito sollevato dalla Corte di cassazione nella ordinanza 24766 del 19 ottobre 2017 che, verificato un contrasto giurisprudenziale su questo punto, ha rimesso la questione al Primo presidente per l’eventuale assegnazione del ricorso alle sezioni unite della Corte.
La vicenda all’esame della Corte è una controversia che riguarda l’impugnazione giudiziale di un licenziamento per superamento del periodo di comporto, nella quale il lavoratore contestava il calcolo errato dei giorni di “conservazione” del posto in relazione all’arco temporale cui fare riferimento in base al contratto collettivo applicato (48 mesi).
Nei primi due gradi di giudizio il ricorso del lavoratore è stato respinto. I giudici di primo e di secondo grado, infatti, hanno ritenuto che, pur essendo intimato in costanza di malattia, il recesso del datore doveva essere considerato inefficace fino alla cessazione della malattia (che coincideva con il compimento del comporto). Il licenziamento, quindi, non era ingiustificato, ma solo temporaneamente inefficace. La sentenza di primo grado, confermata in appello, tra gli altri motivi, veniva censurata di fronte alla Cassazione.
Licenziamento inefficace
La questione suscita importanti spunti di riflessione perché si colloca nel più vasto ambito della tematica relativa al licenziamento intimato (anche per causa diversa dal superamento del periodo di comporto) in costanza di malattia e, quindi, nel periodo di “garanzia” della conservazione del posto in base all’articolo 2110, comma 2, del Codice civile. Si pensi, ad esempio, a tutte le ipotesi di licenziamento per ragioni organizzative intimato a un lavoratore che si ammali prima della ricezione della missiva relativa al recesso e spedita al suo indirizzo.
Si pensi, ancora, all’ipotesi in cui la malattia insorga al momento della consegna della lettera di apertura della procedura di recesso per motivo economico o oggettivo. Siamo in presenza di un vizio di nullità del licenziamento o di una semplice inefficacia dello stesso per tutto il perdurare della malattia?
La giurisprudenza prevalente della Cassazione ritiene valido il licenziamento per giustificato motivo intimato nel periodo di malattia, risultando solo sospesa l’efficacia dell’atto unilaterale fino al venir meno della situazione ostativa (si vedano le sentenze della Cassazione 23063 del 10 ottobre 2013; 11674 del 6 gennaio 2005, 9037 del 4 luglio 2001).
Il fondamento normativo di questo assunto risiede nel principio di conservazione degli atti giuridici (articolo 1367 del Codice civile), estendibile anche al licenziamento (in quanto atto unilaterale) per effetto del rinvio contenuto nell’articolo 1324 del Codice civile.
Licenziamento nullo
A questo orientamento, tuttavia, si contrappone un altro filone giurisprudenziale in base al quale, invece, il licenziamento comunicato in costanza di malattia è affetto da nullità. Secondo questo orientamento, in caso di licenziamento intimato anteriormente alla scadenza del comporto stesso, l’atto di recesso è nullo per violazione di una norma imperativa, contenuta nell’articolo 2110 del Codice civile, che vieta il licenziamento stesso in costanza della malattia del lavoratore. Il recesso dunque non sarebbe solo temporaneamente inefficace, con differimento dei relativi effetti al momento della scadenza.
Il superamento del comporto costituisce, secondo questa interpretazione giurisprudenziale, in base all’articolo 2110 del Codice civile, una situazione autonomamente giustificatrice del recesso, che deve, perciò, esistere anteriormente alla comunicazione dello stesso, perché possa legittimare il datore di lavoro al compimento di quest’atto (Cassazione civile, sezione lavoro, sentenza 24525 del 18 novembre 2014).
Le conseguenze
Le conseguenze di un licenziamento nullo sono, a ben vedere, sostanzialmente diverse rispetto a quelle di un licenziamento inefficace.
Nel primo caso, infatti, il lavoratore avrà diritto alla reintegrazione in servizio con tutte le conseguenze risarcitorie previste dall’articolo 18 della legge 300/1970.
Nel secondo caso, invece, il licenziamento è di per sé valido, ma i suoi effetti rimangono per così dire “congelati” sino alla cessazione della malattia.
Da qui l’importanza di una pronuncia che dirima definitivamente la questione, come richiesto dall’ordinanza della Cassazione del 19 ottobre scorso.
LA PAROLA CHIAVE
Periodo di comporto
È il periodo per il quale il lavoratore ha diritto a conservare il proprio posto di lavoro in caso di malattia o di altri eventi previsti dalla legge. Durante il periodo di comporto – che varia in base alle previsioni dei singoli contratti collettivi di riferimento, anche in base all’anzianità aziendale del lavoratore – il dipendente non può essere licenziato. Se invece l’assenza del lavoratore si protrae oltre questo periodo, il datore può licenziare il dipendente. In questo caso, dovrà versare al lavoratore l’indennità sostitutiva del preavviso.
LE TESI IN CONTRASTO
LICENZIAMENTO LEGITTIMO MA INEFFICACE
La giurisprudenza della Cassazione è consolidata nel ritenere valido il licenziamento per giustificato motivo intimato nel periodo di malattia, risultando solo la relativa efficacia sospesa fino al venir meno della situazione ostativa (tra le altre, si veda la sentenza 23063 del 10 ottobre 2013).
LICENZIAMENTO NULLO
In altre pronunce (ad esempio Cassazione, sentenza 24525 del 18 novembre 2014) è stata affermata la nullità del recesso intimato dal datore di lavoro durante la malattia del lavoratore
LA RICHIESTA DI UN CHIARIMENTO
La Cassazione, con l’ordinanza 24766 del 19 ottobre 2017, ha chiesto al Primo presidente di valutare l’opportunità di assegnare la trattazione del ricorso alle Sezioni unite
LA TESI DELL’INEFFICACIA DEL LICENZIAMENTO:
LA MOTIVAZIONE RESTA VALIDA
Lo stato di malattia del lavoratore preclude al datore di lavoro l’esercizio del potere di recesso quando si tratta di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, che, tuttavia, ove intimato, non è invalido ma solo inefficace e produce i suoi effetti dal momento della cessazione della malattia
IL RECESSO SCATTA DOPO LA MALATTIA
L’inosservanza del divieto di licenziamento del lavoratore in malattia, fino a quando non sia decorso il periodo di comporto, non determina di per sé la nullità della dichiarazione di recesso del datore di lavoro, ma implica, in applicazione del principio della conservazione degli atti giuridici, la temporanea inefficacia del recesso la tesi dell’inefficacia del licenziamento
LA TESI DELLA NULLITÀ DEL LICENZIAMENTO:
STOP AL RECESSO IN MALATTIA
In caso di licenziamento intimato prima della scadenza del periodo di comporto, l’atto di recesso è nullo per violazione della norma imperativa prevista dall’articolo 2110 del Codice civile – che vieta il licenziamento stesso in costanza della malattia del lavoratore – e non già temporaneamente inefficace, con differimento degli effetti alla scadenza del periodo di malattia
IL SUPERAMENTO DEL COMPORTO
Il superamento del comporto costituisce in base allo stesso articolo 2110 del Codice civile, una situazione autonomamente giustificatrice del recesso, che deve perciò esistere anteriormente alla comunicazione dello stesso la tesi della nullità del licenziamento
LA NORMA
LA TUTELA DELLA SALUTE
L’articolo 2110 del Codice civile stabilisce che in caso di infortunio, malattia, gravidanza o puerperio, l’imprenditore può recedere dal rapporto di lavoro soltanto dopo che sia trascorso il periodo stabilito dalla legge, dagli usi o secondo equità. Il periodo di assenza dal lavoro per una delle cause sopra citate, deve essere computato nell’anzianità di servizio del lavoratore.
Anche sui neo-assunti il recesso illegittimo «apre» alla reintegra
La distinzione tra inefficacia e nullità del licenziamento intimato durante il periodo di conservazione del posto per malattia, trova le sue radici nella sostanziale assenza di una sanzione prevista dalla legge. L’articolo 2110 del Codice civile, infatti, non contiene riferimenti alle conseguenze del licenziamento intimato durante il periodo protetto.
L’ingresso della obbligatorietà della giustificazione del licenziamento (legge 604/66) non ha colmato la lacuna: non è infatti prevista una sanzione ad hoc in caso di licenziamento intimato in costanza di malattia.
Neanche con l’approvazione del nuovo testo dell’articolo 18 della legge 300/1970 (introdotto dalla legge «Fornero») il legislatore ha inteso assegnare inequivocabilmente alla fattispecie del recesso durante il periodo di comporto lo scudo della nullità (articolo 18, comma 1). L’articolo 18, comma 7, prevede l’applicazione del regime della reintegrazione “attenuata” (ossia con un’indennità risarcitoria limitata a 12 mensilità) , ma questa disciplina si applica nei casi di violazione dell’articolo 2110 del Codice civile. Ciò, quindi, presuppone che il recesso sia stato intimato a causa della malattia e non durante il periodo sospensivo.
La questione si è complicata ulteriormente con l’approvazione del Dlgs 23/2015 sul contratto a tutele crescenti. Anche in questo caso, infatti, il legislatore non ci ha fornito indicazione utili con riferimento al binomio licenziamento-malattia. Sebbene la disciplina della reintegrazione sia estesa ai casi di difetto di giustificazione per motivo consistente nella disabilità fisica o psichica, anche in base agli articoli 4 comma 4 e 10 comma 3 della legge legge 68/1999, nessun richiamo viene fatto all’articolo 2110 del Codice civile e alla sua violazione. Si potrebbe sostenere che la disabilità fisica o psichica porti con sé anche la malattia, ma questa tesi urta con la circostanza che disabilità e malattia (concetti ben conosciuti dal legislatore) sono tra loro del tutto differenti.
Le conclusioni della Cassazione su questo tema, quindi, saranno importanti, perché finiranno per “colmare” il vuoto legislativo, specialmente per i lavoratori assunti dal 7 marzo 2015 (data di entrata in vigore del contratto a tutele crescenti). Qualora sia accertato che il licenziamento intimato in costanza di malattia sia nullo (ossia totalmente improduttivo di effetti), si aprirebbe la strada della tutela reintegratoria del lavoratore anche nel regime delle tutele crescenti, per effetto dell’articolo 2 comma 2 del Dlgs 23/2015, che prevede ancora la reintegra in tutti i casi di nullità espressamente previsti dalla legge. Se così fosse, la conseguenza sarebbe l’estensione della tutela reintegratoria al licenziamento illegittimo del lavoratore assunto a tutele crescenti, sebbene nelle intenzioni del legislatore, questa sanzione dovesse essere residuale.